Come i Vampiri”
Un
prologo e un atto
di
Romolo Ferrantini
Genova
Tipografia “Arte Mondana”
Scherzo lirico e satirico
in un prologo e un atto.
L’azione si svolge in un paese,
anzi, nel
Bel Paese di Vattelapesca.
Epoca, purtroppo presente.
Prologo
Mastro Pasticcia, dopo aver
fatto un profondo inchino, incomincia.
Se
il gran Poeta del cruccioso Achille
immortalò
ne versi il furbo Ulisse.
Se
il pieghevole Ovidio insegnò i mille
modi
d’amare. Se Virgilio scrisse
l’avventura
di quel fiero troiano
che
origin diede al popolo Romano.
Se
l’Alighieri scese a satanasso,
al
Purgatorio e poi salì alle stelle.
Se
Francesco Petrarca, Ariosto e Tasso
ci
descrissero tante cose belle,
cantandoci
di Laura tanto amata,
del
fiero Orlando e della Liberata.
Se
il buon Leopardi, col verso soave,
cantò
di Silvia e del suo amor profondo.
E
se d’Annunzio disse alla “Nave”
Arma la prora e salpa verso il
mondo.
Nessun
parlò di succhioni e succhiati
di
ladri in guanti gialli e d’affamati.
Io
sol perciò sarò l’umil cantore
che
vendicando il vergognoso oblio,
metterò
alla berlina il malfattore
che
sfrutta questo mondo falso e rio
e
perciò vi dirò con questo canto
di
quei Vampiri ch’han succhiato tanto.
C’è
un angolo di mondo così bello,
e
forse a tanti molto conosciuto,
che
si assomiglia al nostro un tantinello
tra
voi però ben pochi l’han veduto
perché
se pur non è tanto distante
per
andar là bisogna farne tante.
Io
non potrei ridir come v’andai;
il
vino che bevetti il giorno avanti
mi
trascinò in un gran mare di guai.
E
poiché il vino piace a tutti quanti…
e
il suo maggior consumo è tra i signori
piace
a me pur che vivo nei dolori.
Dunque
quando fui giunto al “Bel Paese”
che
a prima vista mi sembrò dei stolti,
vi
trovai della gente assai cortese
e
mi parve vedere in mezzo a molti
un
uom che per quanto comandava
ognun
per il naso lo menava…
E
a lui che immaginai fosse il padrone
del
territorio di Vattelapesca,
m’avvicinai
con molta precauzione;
ma
incontro mi mandò la sua fantesca
la
qual con fare ardito e risoluto
recommi
del regnante il suo saluto.
O
donna bella, o donna assai graziosa,
che
dall’aspetto sembri un po’ malata,
dimmi,
sei tu del re la dolce sposa?
Ed
ella mi rispose: Io sono stata
e sarò sempre la schiava di tutti
ier de’ stranieri ed or dei
farabutti.
Ma
il saper questo a te non ti conviene,
perché
dalla tua giacca consumata
comprendo
che non sai farmi del bene.
Ti
dirò invece chi m’ha rovinata
e
se verrai con me qualche mezz’ora
potrai
veder chi gode e chi lavora.
Poi
detto questo mi condusse via
facendomi
passare per strade strette
brutte
e tutte pien di……
che
per andar prendemmo due barchette.
E
arrivati che fummo presso il mare
entrammo
in un casotto a desinare.
Là
ci trovammo in mezzo a tanta gente;
tutti
facchini dai visi abbronzati
che
mangiavano il pane solamente,
al
par di tanti poveri affamati:
eppur
quella gente lavorava
e
per cibarsi il solo pan mangiava.
Uscii
di là col cuore addolorato
e
con la mente mia triste e confusa
maledicendo
questo brutto stato,
ma
la guida sorpresa disse: Scusa,
se
impressione t’ha fatta l’osteria
guarda
la gente che dorme per via…
Qui
non soltanto il buon lavoratore
soffre
fatica e mangia il pane nero
languendo
tra gli spasmi e il dolore
ma
perfino un tugurio, questo è vero,
non
ha per riposarsi e nell’inverno
il
suo padron di casa è il Padre Eterno,
E
se dopo un milione di preghiere
gli
si concede un misero riparo
ci
deve perder la giornata intiera
a
supplicar per poi pagarlo caro,
ma
prima di occupar l’appartamento
deve
fare perfino il testamento.
Infatti
si domanda in prima cosa
che
numero possiede di bambini;
l’età
che potrà avere la sua sposa
se
lui guadagna pochi o assai quattrini;
se
presentare può la garanzia,
l’atto
del matrimonio, e …così sia.
E
dopo questo per abitazione
gli
si dà un sito brutto, sporco e tetro
al
primo piano sopra al cornicione
col
cesso largo appena mezzo metro
nel
quale manca l’acqua e la cucina
è
scura e bassa come una cantina.
Le
strade ben le vedi sono strette;
dalle
finestre pendono i lenzuoli,
le
camicie, le maglie, le calzette
e
i vasi della…dai poggioli.
Perché
da queste parti non ci viene
neppure
lo spazzino dell’igiene.
Quel
grande casamento è l’ospedale
che
dovrebbe ospitare il sofferente;
ma
credi tu che lì si curi il male?
Tutt’altro
caro mio, tu non sai niente:
chi
entra in quel grandissimo palazzo
potrà
uscir, dopo tanto o morto o pazzo.
E
quella casa bassa che tu vedi
con
quel giardino e quelle vecchie mura
quella
è la scuola, ma se tu non credi,
apri
la porta e non aver paura.
Guarda
che angusti siti umidi e stretti,
ebben
qui si fa scuola ai fanciulletti.
E
quel che vedi seduto
in
mezzo a tutti coi capelli bianchi,
è
il buon maestro che non ha un minuto
di
tregua e che guadagna ottanta franchi.
Come,
ti fa impressione o pur t’incanta?
che
un maestro guadagni due e cinquanta?
O
caro mio, c’è allor chi sta più male
del
povero maestro e non si lagna…
C’è
chi lavora nel meridionale
e in altre terre, che appena guadagna
settantacinque
centesimi al giorno
e
quando piove non guadagna un corno.
Ed
or ch’hai visto una piccola parte
di
questo regno pien di poveretti
seguimi
che vedrai il regno di marte
lo
stato dei signori dei protetti:
ma
prima che tu entri in questo sito
per
carità abbottonati il vestito.
Perché
se questa gente che ti mostro
porta
il colletto, i guanti, il bastoncino
e
le mani non ha sporche d’inchiostro
al
par di un affamato scribaccino,
possiede
per disgrazia certi denti
che
sanno masticare i bastimenti.
Dunque,
dopo mezz’ora di cammino
ci
trovammo in quartieri lindi e belli
dove
in ogni piazza c’era un bel giardino
pien
di rose violette e campanelli;
le
vie pulite; i negozi ordinati;
finestre
belle e portici dorati.
Osserva
disse allor la guida mia,
l’uguaglianza
social di questo regno,
qui
l’ordine, laggiù la porcheria,
qui
le ricchezze, là li stracci in pegno:
e
per di più, in questo caro paese,
qui
c’è chi spende, là chi fa le spese!
che
vedi pien di pubblico stimato,
è
la Borsa che succhia piano, piano
il
sangue del commercio e dello stato.
Ma
sai come la chiama il popolino?
La
Borsa del brigante Mussolino!
Però
mentre noi due si camminava
usciva
da un bellissimo villino,
un
uomo ben vestito che portava,
guanti,
catena d'oro, l'occhialino
e
dava il suo gran braccio a una signora
col
pelo…come i gatti dell'Angòra…
Chi
è quel personaggio altolocato
con
quel gran collo e quella grossa pancia?
La
guida mi rispose. È un blasonato
che
n'ha fatte più lui che Carlo in Francia,
e
quella dama che gli sta vicino
era
alloggiata un giorno in un……
Han
svaligiato Banche e Ministeri;
sottraendo
danari e documenti
e
che profondi inchini che gli fanno
benché
vivan rubando tutto l'anno.
Ma
tante cose ancor ti vorrei dire,
e
tante vorrei fartene osservare,
se
non incominciasse ad imbrunire.
Seguimi
dunque e presto andiamo via
perché
devo recarmi a casa mia.
Tutto
dicesti; tanto già narrasti,
dissi
alla guida che mi stava accanto
ma
del regnante tuo non mi parlasti.
E…sul
suo conto avrei da dirne tante…
ma
non lo posso, disse; è tanto il male
che
ho paura del Codice penale!
Poi
non vidi più nulla. Mi svegliai
di
soprassalto guardando confuso,
e
la mia guida non ritrovai.
M'ero
dunque sbagliato? M'ero illuso?
Non
lo potrei spiegar! Voi lo sapete
che
il Bel Paese conoscete.
Perciò
io da tal sogno ebbi l'idea
di
riprodurvi un po' la scena vera
di
qualcosa di quel che visto avea.
M
non potendo far la scena intiera
mi
limitai a presentarvi solo
alcuni
personaggi a volo.
Dunque
son certo che mi scuserete
e
per di più vorrete compatire
quanto
vi dissi; quello che vedrete
e
tutto quello che potrà avvenire.
Però,
se in tutti i casi v'annoiate,
prendetemi
soltanto a bastonate.
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